Intervista al Gran Cancelliere – Sua Eccellenza Mons. Mario Delpini

Anteprima

In occasione dell’inizio dell’Anno Accademico 2025-2026 della nostra Facoltà, pubblichiamo un’intervista esclusiva con il Gran Cancelliere, l’arcivescovo di Milano, sua eccellenza monsignor Mario Delpini


Eccellenza, lei ha sempre sottolineato il «senso di appartenenza gioiosa che può venire – cito le sue parole – dallo studiare teologia in un Ateneo come la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, confrontandosi con la città e con un contesto culturale che, tuttavia talvolta, può apparire distratto se non ostile». Come sfuggire allo scoraggiamento attuale? 

Io credo che nella Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale ci siano le condizioni per una sfida eccitante al declino dell’Occidente e uno slancio appassionante per fare risplendere la gloria di Dio.

Se un gruppo, anche un piccolo gruppo, di studiosi, unito da passione per la bellezza della Chiesa, il fascino del Vangelo, la franchezza del confronto, trovasse una fonte di gioia invincibile nel mistero di Cristo e riuscisse a dire che c’è una salvezza per questo mondo e questo tempo, non sarebbe uno slancio appassionante? Se un gruppo, anche un piccolo gruppo, di studiosi veramente amici, veramente intelligenti, veramente entusiasta si lanciasse a indicare i danni che il veleno del serpente antico ha causato, non sarebbe una sfida eccitante?

«Mi sono fatto l’idea che a Milano abiti l’audacia del pensiero. Un pensiero critico lucido e fiero, senza complessi di inferiorità, deve vigilare perché le scienze non riducano le persone a un meccanismo, non riducano il mondo a un mercato e la ricerca a servizio del profitto», ha detto.

Ritiene che sia anche questo il ruolo di una teologia capace di inserirsi a pieno titolo nel dibattito contemporaneo?

La teologia non può inserirsi nel dibattito contemporaneo – e mi dispiace – perché, per quello che mi risulta, il dibattito contemporaneo non c’è. Invece che domande che siano una sincera invocazione della verità, mi pare che ci siano tesi che si presentano come perentorie. Invece che dialoghi che aprano l’orizzonte della speranza ci sono ricerche sofisticate per minare le radici di ogni speranza.

Invece che desiderio di ricevere una rivelazione, c’è la rassegnazione alla moda. La moda sostiene che per essere intelligenti è meglio definirsi agnostici.

Come si può entrare in un dibattito che non c’è?

Busseremo con discrezione per entrare là dove è rimasta la sete: abbiamo da offrire l’acqua di vita eterna.

Di quale teologia ha bisogno in questo momento la Chiesa? E quale può essere il suo contributo, ad esempio, nel contesto del cammino sinodale che sta compiendo la nostra Diocesi?

In primo luogo si deve dire che questo momento di Chiesa ha bisogno proprio di teologia. Ha bisogno di una riflessione acuta e lieta. Ha bisogno di una comunicazione che rinnovi le radici del credere in Gesù. Ho l’impressione che molti si ritengano cristiani, ma sanno così poco di Cristo. Ho l’impressione che il sapere si sia inaridito e non produca gioia, ma affatichi la mente. Ho l’impressione che parlare della verità cristiana tra cristiani, oltre i luoghi comuni e le banalità, non sia popolare.

I cristiani dicono “Dio”, ma molti non sanno del Dio di Gesù. I cristiani dicono “vita”, “morte”, “risurrezione”, ma molti non dicono della vita di Gesù e della vita che Gesù dona, la vita eterna. Ho l’impressione che ci siano cristiani che parlano della Messa, ma a Messa non ci vanno, come se la celebrazione dei santi misteri potesse essere un argomento di discussione invece che il mistero della Pasqua di Gesù.

Ecco, secondo me, c’è bisogno di teologia, una teologia umile, lieta, affettuosa e rigorosa.

Quale contributo possono offrire istituzioni accademiche come la Facoltà Teologica o l’Università Cattolica alla missione educativa della Chiesa? 

Ecco la parola che si è fatta misteriosa e confusa: educare, missione educativa.

Nelle nostre Accademie si può accompagnare i figli degli uomini a diventare adulti, perché c’è una comunità che si rallegra della verità e ne dà testimonianza: vale per la Facoltà Teologica, vale per l’Università Cattolica.

Nel compito delle istituzioni accademiche c’è, mi sembra, un compito di addestramento, perché si formi una professionalità.

C’è, mi sembra, un compito di insegnamento, perché sia appresa l’arte del pensare, del pensare critico, del pensare teologico.

C’è, mi sembra, un compito di riconoscenza, perché lo studio approfondito dei grandi maestri di ogni secolo non sia impolverarsi nelle biblioteche, ma conversare con rispetto e trepidazione con persone amiche e maestri illuminati.

C’è, mi sembra, un compito di dare gloria, perché lo stupore e la gioia della verità diventino cantico.

(Intervista a cura di Annamaria Braccini)

 

 

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