Pietre miliari di un percorso

a cura di Annamaria Braccini

03 Dicembre 2025 | dalle 00:00 | |

Sarà Elena Beccalli, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a pronunciare la prolusione dell’Anno Accademico 2025-2026 della Facoltà e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose, il prossimo 3 dicembre. Inaugurazione che vedrà l’intervento, come sempre, dell’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, nella sua veste di Gran Cancelliere.

L’invito al Rettore Beccalli è una scelta significativa non solo per il ruolo di guida dell’Ateneo dei Cattolici Italiani, ma anche per l’alto profilo di accademica e di studiosa della professoressa Beccalli, già preside della Facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative, docente di Economia degli intermediari finanziari e da qualche mese anche presidente della Federazione delle Università Cattoliche Europee. D’altra parte, la presenza del nono rettore della “Cattolica” – per la prima volta si tratta di una donna –, si inserisce in una precisa e pensata articolazione delle singole inaugurazioni, con la Lectio Magistralis affidata, ad anni alterni, a figure eminenti della Chiesa e delle principali realtà accademiche sul territorio.

Il “dovere” della teologia

E questo a partire dal 2018, nel quale si è festeggiato il rilevante traguardo dei 50 anni della Facoltà, quando la prolusione venne proposta dal cardinale Pietro Parolin, ancora oggi, come allora, Segretario di Stato della Santa Sede.

Illuminante un passaggio della sua articolata riflessione – dedicata al magistero di Paolo VI e al nuovo umanesimo – proprio relativamente al «dovere» della teologia che non è «accontentarsi di giudizi superficiali, ma comprendere – intelligere – con intelligenza, appunto, la cultura del proprio tempo». Anche perché «una troppo lunga dissociazione tra la teologia e le scienze profane, trasformatasi talora in dissidio, ha portato gravi danni alla sintesi tra teologia e vita». Danni sotto gli occhi di tutti e rispetto ai quali la Facoltà, anche concretamente voluta nel cuore della grande metropoli dove ha sede – cerca di porre una parola di insegnamento e di «ricomposizione».

Secondo quanto, nel 2019, tornava a evidenziare il rettore dell’Università degli Studi di Milano, il filosofo Elio Franzini, nella sua Lectio: “Crisi del moderno e modernità della crisi”, sottolineando un allontanamento tale che «oggi, in nessuna Università statale d’Italia si insegnano discipline di ordine teologico. I due mondi – filosofia e teologia –, si sono separati nel nostro Paese, cosa che non succede in altre Nazioni», aggiungeva.

In una società aperta

Dopo la pausa di un anno, a causa delle restrizioni per il Covid, fu la guardasigilli del tempo Marta Cartabia a definire l’orizzonte di riferimento nel rapporto tra “Religioni e diritto in una società aperta”.
Chiarissima e illuminante la posizione di Cartabia della quale fu letta la prolusione, non avendo potuto la ministra intervenire di persona per un grave lutto familiare. «La Corte di Cassazione ha stabilito, pronunciandosi nel settembre 2021, che la laicità italiana non è neutralizzante; è un concetto inclusivo che riconosce la dimensione religiosa presente nella società e si alimenta del pluralismo delle scelte personali in materia religiosa, garantendo l’uguaglianza di tutti i cittadini che vivono nello spazio pubblico».

Una nuova coscienza ecclesiale

Uno “spazio” condiviso approfondito, l’anno successivo, dal cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi che concentrò la sua attenzione – e non avrebbe potuto essere altrimenti – sul percorso sinodale che non è questione solo ecclesiale, ma dell’intera società, nei termini della promozione di uno “stile” di convivenza partecipativa e di presenza di un laicato finalmente maturo.

«Mentre siamo ancora in mezzo al cammino», disse il Porporato, «la speranza è che sia possibile promuovere, senza fretta ma anche senza indolenza, la maturazione di una nuova coscienza ecclesiale nella quale il popolo di Dio sia riconosciuto come soggetto e non come oggetto. Spetta a voi contribuire con le vostre discipline teologiche ad approfondire le potenzialità della Chiesa, sostenerla ad accompagnarla a diventare sempre più una Chiesa sinodale, soggetto della nuova evangelizzazione. La mancanza di questo esercizio teologico ecclesiale sarà una mutilazione della visione che siamo invitati a realizzare».

Per un uso consapevole del sapere

Poi, due anni fa, una rettrice: Donatella Sciuto del Politecnico, anche in questo caso, la prima volta di una donna alla guida dell’Ateneo, che dedicò il suo intervento all’intelligenza artificiale con i suoi «algoritmi economici e facili da copiare e peggio ancora da rubare», quindi, rischiosissimi per tutti.
«Mai come oggi dobbiamo mostrarci uniti, educare noi stessi e le nuove generazioni a un uso consapevole del sapere», la sua conclusione.

Un impegno e una vocazione

Infine, per l’inaugurazione dello scorso anno accademico, l’invito fu per l’arcivescovo emerito di Malines-Bruxelles, il cardinale Jozef De Kesel, che dedicò la prolusione a una tema cruciale e, oggi, non evitabile: “Essere cristiano in un mondo che non lo è più”, titolo anche di un fortunatissimo saggio dello stesso presule. E non si potrebbero, allora, chiudere meglio queste poche note, se non con le sue parole accolte da un prolungato applauso.

«Non c’è Chiesa senza il mondo e, quindi, ella ne deve condividere le gioie, le speranze e le angosce come dicono le più belle parole del Concilio, quelle dell’inizio della Gaudium et Spes. Il clericalismo rende la Chiesa sorda e cieca di fronte ai segni dei tempi: una Chiesa che non ascolta, autoreferenziale, autosufficiente e che non ha più bisogno di conversione. Ecco perché la sua presenza e la missione in un mondo secolarizzato sono una grazia e un dono: per noi un impegno e una vocazione».

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