Teologia filosofica

FTIS – Istituzionale
Baccalaureato

Teologia filosofica
Codice Insegnamento: I-FIL07
Anno di corso: 2
Tipo di insegnamento: OBBLIGATORIO
Crediti: 6
Ore: 48
Lingua in cui viene erogato il corso: Italiano
Metodo di insegnamento: Didattica formale/lezioni frontali
Tipo di esame: Prova Orale

Indirizzi

Docenti

Obiettivo:

Il corso si prefigge l’acquisizione del significato della domanda ontologica come declinata nelle principali figure indicate della storia della metafisica. L’articolazione fondamentale tra momento fenomenologico e ripresa concettuale è il punto prospettico per l’indagine del rapporto tra la noetica, l’ontologia e il discorso teologico.


Programma:

La crisi della metafisica ha ipotecato la possibilità di far valere il teismo come presupposto del discorso teologico-fondamentale sulla fede. Quando però la rivendicazione della fede si colloca in un orizzonte concettuale di tipo scettico o che sancisca l’impraticabilità del questionamento sulla verità, non può evitare la riduzione positivistica o la regressione irrazionalistica dell’affermazione di Dio. Il superamento dell’esteriorità fra momento razionale e riflessione teologica non sancisce l’esaurimento, quanto piuttosto sollecita la riproposizione dell’interrogazione filosofica radicale come momento intrinseco all’intelligenza critica della fede, considerato che l’affermazione di Dio nell’attuale contesto filosofico e culturale gode, per un verso, di un interesse vago e diffuso; dall’altro, soffre dell’indebolimento dell’istanza critica.
Poiché la riformulazione della domanda ontologica è inseparabile dalla reinterpretazione delle figure principali della storia della metafisica, ne richiamiamo in forma sintetica lo sviluppo. (1) La forma che Aristotele ha conferito alla metafisica può essere considerata la matrice di questa disciplina, poiché costituisce il paradigma di riferimento che nel pensiero occidentale sarà sottoposto a incessante riformulazione – e, addirittura, in alcuni casi, a rifondazione. La filosofia prima si distingue dalle altre scienze – regionali o seconde –, poiché essa è il sapere della totalità. E poiché il significato che risponde al requisito di essere insieme universale e primo è l’essere, la filosofia prima è essenzialmente una ontologia. (2) Il pensiero cristiano antico, pur nella consapevolezza dell’assoluta originalità della rivelazione cristiana, ha riconosciuto nella filosofia (nella teologia metafisica) un interlocutore insostituibile in ordine all’intelligenza della stessa verità cristiana. La teologia medievale assume programmaticamente la metafisica greca, per lo più aristotelica, come canone del sapere scientifico/vero. Il significato dell’opposizione tra i due più grandi maestri medievali – Tommaso e Scoto – è di portata epocale, poiché riguarda la modalità dell’operazione di reinterpretazione della metafisica a procedere da un motivo teologico-biblico. Se Tommaso tematizza la continuità fra la verità metafisica e la verità rivelata (la rivelazione è il telos della metafisica), Scoto sottolinea l’eterogeneità; anzi, più precisamente l’esteriorità (l’eccellenza) della verità rivelata rispetto alla razionalità metafisica. La differenza delle prospettive appare dal legame che si instaura fra la noetica (il problema della conoscenza) e l’ontologia; legame che è iscritto nell’essenza originaria della metafisica in quanto sapere insieme universale e primo. (3) In Kant la scoperta della soggettività viene tematizzata come universale. Il soggetto non è un ente fra gli enti, non è una sostanza, ma il principio primo a partire dal quale soltanto può essere posta la questione metafisica, la questione del fondamento. Il pensiero moderno si incarica di una rifondazione della metafisica nell’orizzonte della soggettività. La critica kantiana costituisce l’elaborazione più conseguente di questa istanza, della svolta trascendentale. (4) Il metodo fenomenologico, mediante la teoria dell’intenzionalità, restituisce la qualità ontologica del fenomeno. Per Husserl, la sintesi conoscitiva è irriducibile allo schema attività/passività, poiché la sua forma non è la subordinazione della sensibilità al pensiero, ma la reciprocità delle due istanze, insieme irriducibili e correlative, della significazione e della intuizione: la significazione (l’a priori categoriale) non esercita la sua funzione (di identificazione del senso) se non come anticipazione della logica altra dell’intuizione; e tuttavia la significazione è tutta funzionale a ciò che dà l’intuizione (alla logica altra della intuizione, portatrice della donazione), esercitando una funzione di verifica o di smentita. Fra pensiero e sensibilità il rapporto è di anticipazione e di riempimento. (5) Nel panorama della filosofia del Novecento rimane uno snodo fondamentale la critica heideggeriana all’ontoteologia, considerata la deriva coerente di un concettualismo rappresentazionista, incapace di pensare la differenza nella quale l’esistenza si trova posta. La fenomenologia è originariamente ermeneutica, perché scaturisce dalla fatticità, dall’interno dell’esperienza della vita. L’ermeneutica è un progetto di ontologia generale, che si regola sul Dasein come possibilità, in quanto sempre in cammino verso sé. L’ermeneutica deve obbedire al movimento stesso della vita, in quanto è un modo d’essere del Dasein stesso, momento della fatticità, come possibilità (ontologica e non logico-concettuale) non tematizzabile (non raggiungibile con un approccio che sarebbe inevitabilmente razionalistico). Si reputa teoreticamente fecondo riprendere il mandato di Heidegger, anche a prescindere dallo svolgimento che lui gli ha conferito: la differenza ontologica non viene reificata (sottoposta a riduzione rappresentazionistica) a condizione che sia pensata ermeneuticamente, cioè in rapporto a quel principio di correlazione secondo il quale l’effettività dell’esistenza non può mai essere superata. Il discorso sulla trascendenza teologica ha, in origine, il significato di una riflessione radicale su di una differenza che l’uomo scopre e tematizza in quanto “la agisce” da implicato.
La questione dell’essere e la questione del soggetto rispondono infatti allo stesso modello; non quello della dipendenza ma della reciprocità. La fenomenalità decide del senso dell’essere e del soggetto, poiché essa non appartiene a nessuno dei due principi (il principio dell’essere e quello del soggetto) presi separatamente, ma alla loro correlazione. La resistenza all’integrazione del pensiero metafisico della trascendenza nell’ambito della teologia biblica cristiana e nel pensiero moderno del soggetto può essere ricondotta all’esigenza di pensare questa interconnessione: la forma dell’originario consiste nella reciprocità fra l’istanza ontologica della verità – la trascendenza dell’essere – e l’istanza antropologica del soggetto. Non si può parlare della verità in senso teologico – la verità assoluta: Dio – se non nell’orizzonte definito dalla reciprocità dell’ontologico e dell’antropologico, dell’essere e del soggetto.

 


Avvertenze:

La crisi della metafisica ha ipotecato la possibilità di far valere il teismo come presupposto del discorso teologico-fondamentale sulla fede. Quando però la rivendicazione della fede si colloca in un orizzonte concettuale di tipo scettico o che sancisca l’impraticabilità del questionamento sulla verità, non può evitare la riduzione positivistica o la regressione irrazionalistica dell’affermazione di Dio. Il superamento dell’esteriorità fra momento razionale e riflessione teologica non sancisce l’esaurimento, quanto piuttosto sollecita la riproposizione dell’interrogazione filosofica radicale come momento intrinseco all’intelligenza critica della fede, considerato che l’affermazione di Dio nell’attuale contesto filosofico e culturale gode, per un verso, di un interesse vago e diffuso; dall’altro, soffre dell’indebolimento dell’istanza critica.
Poiché la riformulazione della domanda ontologica è inseparabile dalla reinterpretazione delle figure principali della storia della metafisica, ne richiamiamo in forma sintetica lo sviluppo. (1) La forma che Aristotele ha conferito alla metafisica può essere considerata la matrice di questa disciplina, poiché costituisce il paradigma di riferimento che nel pensiero occidentale sarà sottoposto a incessante riformulazione – e, addirittura, in alcuni casi, a rifondazione. La filosofia prima si distingue dalle altre scienze – regionali o seconde –, poiché essa è il sapere della totalità. E poiché il significato che risponde al requisito di essere insieme universale e primo è l’essere, la filosofia prima è essenzialmente una ontologia. (2) Il pensiero cristiano antico, pur nella consapevolezza dell’assoluta originalità della rivelazione cristiana, ha riconosciuto nella filosofia (nella teologia metafisica) un interlocutore insostituibile in ordine all’intelligenza della stessa verità cristiana. La teologia medievale assume programmaticamente la metafisica greca, per lo più aristotelica, come canone del sapere scientifico/vero. Il significato dell’opposizione tra i due più grandi maestri medievali – Tommaso e Scoto – è di portata epocale, poiché riguarda la modalità dell’operazione di reinterpretazione della metafisica a procedere da un motivo teologico-biblico. Se Tommaso tematizza la continuità fra la verità metafisica e la verità rivelata (la rivelazione è il telos della metafisica), Scoto sottolinea l’eterogeneità; anzi, più precisamente l’esteriorità (l’eccellenza) della verità rivelata rispetto alla razionalità metafisica. La differenza delle prospettive appare dal legame che si instaura fra la noetica (il problema della conoscenza) e l’ontologia; legame che è iscritto nell’essenza originaria della metafisica in quanto sapere insieme universale e primo. (3) In Kant la scoperta della soggettività viene tematizzata come universale. Il soggetto non è un ente fra gli enti, non è una sostanza, ma il principio primo a partire dal quale soltanto può essere posta la questione metafisica, la questione del fondamento. Il pensiero moderno si incarica di una rifondazione della metafisica nell’orizzonte della soggettività. La critica kantiana costituisce l’elaborazione più conseguente di questa istanza, della svolta trascendentale. (4) Il metodo fenomenologico, mediante la teoria dell’intenzionalità, restituisce la qualità ontologica del fenomeno. Per Husserl, la sintesi conoscitiva è irriducibile allo schema attività/passività, poiché la sua forma non è la subordinazione della sensibilità al pensiero, ma la reciprocità delle due istanze, insieme irriducibili e correlative, della significazione e della intuizione: la significazione (l’a priori categoriale) non esercita la sua funzione (di identificazione del senso) se non come anticipazione della logica altra dell’intuizione; e tuttavia la significazione è tutta funzionale a ciò che dà l’intuizione (alla logica altra della intuizione, portatrice della donazione), esercitando una funzione di verifica o di smentita. Fra pensiero e sensibilità il rapporto è di anticipazione e di riempimento. (5) Nel panorama della filosofia del Novecento rimane uno snodo fondamentale la critica heideggeriana all’ontoteologia, considerata la deriva coerente di un concettualismo rappresentazionista, incapace di pensare la differenza nella quale l’esistenza si trova posta. La fenomenologia è originariamente ermeneutica, perché scaturisce dalla fatticità, dall’interno dell’esperienza della vita. L’ermeneutica è un progetto di ontologia generale, che si regola sul Dasein come possibilità, in quanto sempre in cammino verso sé. L’ermeneutica deve obbedire al movimento stesso della vita, in quanto è un modo d’essere del Dasein stesso, momento della fatticità, come possibilità (ontologica e non logico-concettuale) non tematizzabile (non raggiungibile con un approccio che sarebbe inevitabilmente razionalistico). Si reputa teoreticamente fecondo riprendere il mandato di Heidegger, anche a prescindere dallo svolgimento che lui gli ha conferito: la differenza ontologica non viene reificata (sottoposta a riduzione rappresentazionistica) a condizione che sia pensata ermeneuticamente, cioè in rapporto a quel principio di correlazione secondo il quale l’effettività dell’esistenza non può mai essere superata. Il discorso sulla trascendenza teologica ha, in origine, il significato di una riflessione radicale su di una differenza che l’uomo scopre e tematizza in quanto “la agisce” da implicato.
La questione dell’essere e la questione del soggetto rispondono infatti allo stesso modello; non quello della dipendenza ma della reciprocità. La fenomenalità decide del senso dell’essere e del soggetto, poiché essa non appartiene a nessuno dei due principi (il principio dell’essere e quello del soggetto) presi separatamente, ma alla loro correlazione. La resistenza all’integrazione del pensiero metafisico della trascendenza nell’ambito della teologia biblica cristiana e nel pensiero moderno del soggetto può essere ricondotta all’esigenza di pensare questa interconnessione: la forma dell’originario consiste nella reciprocità fra l’istanza ontologica della verità – la trascendenza dell’essere – e l’istanza antropologica del soggetto. Non si può parlare della verità in senso teologico – la verità assoluta: Dio – se non nell’orizzonte definito dalla reciprocità dell’ontologico e dell’antropologico, dell’essere e del soggetto.

 


Bibliografia:

G. REALE, Guida alla lettura della Metafisica di Aristotele, Laterza, Roma-Bari 2004; C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, Editrice del Verbo Incarnato, Segni 2005; O. BOULNOIS, Duns Scoto. Il rigore della carità, Jaca Book, Milano 1999; G. FERRETTI, Ontologia e teologia in Kant, Rosenberg § Sellier, Torino 1997; P. RICŒUR, À l’école de la phénoménologie, Vrin, Paris 1998; A. BERTULETTI, Dio, il Mistero dell’Unico, Queriniana, Brescia 2014.

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